La prima pubblicazione della rubrica “A favore delle imprese” si occupa di fornire una possibile soluzione agli imprenditori che si trovano ad affrontare una crisi, soprattutto in questo periodo, in conseguenza dell’aggravarsi della situazione economica dovuta dalla pandemia da Covid-19.
SOMMARIO: 1) Introduzione: gli accordi di ristrutturazione dei debiti 2) Accordo di ristrutturazione standard 3) Accordo di ristrutturazione agevolato 4) Accordo di ristrutturazione esteso 5) Convenzione di moratoria 6) Procedimento ed esecuzione degli accordi 7) Misure cautelari e protettive 8) Rinegoziazione degli accordi 9) Piano attestato di risanamento
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, introdotti nel nostro ordinamento solo nel 2005, rappresentano una delle modalità di risoluzione della crisi o dell’insolvenza dell’impresa. Tali accordi trovavano una disciplina nella Legge fallimentare, R.D. n. 267 del 1942 (art. 182 bis), ma la normativa è stata di recente ampiamente modificata dal Codice della crisi di impresa, D.L. n. 14 del 12 gennaio 2019, che in parte ha mantenuto intatte le precedenti norme vigenti in materia. Da ultimo segnaliamo che con il recentissimo D.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 5 novembre 2020, il nostro legislatore ha introdotto disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Ricordiamo che lo stato di crisi o di insolvenza dell’impresa possono generalmente condurre l’imprenditore a:
Si tratta di due procedure di natura giudiziale, le quali prescindono da eventuali accordi già stipulati tra imprenditore e creditori. Difatti è vero che all’imprenditore è concesso di stipulare degli accordi con i suoi creditori, ma si tratta di meri atti di diritto privato, i quali non hanno ulteriori effetti sugli altri creditori non aderenti a tali accordi, e da cui le due suddette procedure giudiziali prescindono.
Orbene, lo stato di crisi o di insolvenza dell’impresa possono altresì condurre l’imprenditore a:
Si tratta di due strumenti negoziali stragiudiziali di regolazione della crisi di impresa che consentono all’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa. Lasciando la trattazione dei piani attestati di risanamento ad un breve cenno finale, si vuole incentrare l’attenzione sugli accordi di ristrutturazione del debito. Questi ultimi costituiscono uno strumento efficace, trattandosi di accordi che l’imprenditore può stipulare con i creditori che, se pure di natura negoziale come gli altri accordi, hanno una caratteristica in più: sono difatti sottoposti alla omologazione da parte del Tribunale in modo da ottenere gli effetti previsti dalla legge (possono difatti avere effetti anche nei confronti dei creditori rimasti estranei agli accordi stessi). Tali accordi hanno, però, natura ai atti di diritto privato, stragiudiziali e permettono dunque di evitare l’utilizzo dei più complessi percorsi giudiziali del concordato e del fallimento. In altri termini gli accordi di ristrutturazione dei debiti si collocano in una posizione intermedia tra la dimensione privatistica, contrattuale, e la dimensione pubblicistica, visto che la procedura tende al soddisfacimento anche di un interesse superiore rappresentato dalla ristrutturazione dell’impresa in crisi.
L’imprenditore, dunque, per far fronte alla crisi dell’impresa, ha la possibilità di stipulare un accordo di ristrutturazione dei debiti, ossia di utilizzare uno strumento negoziale stragiudiziale, che tuttavia è soggetto ad omologazione del Tribunale.
Ma vediamoli nello specifico:
E’ possibile definire altrimenti l’accordo di ristrutturazione come un accordo formato dall’imprenditore con un numero di creditori che possono alternativamente rappresentare il 60% dei creditori (accordo standard o ordinario) ovvero il 30% (accordo agevolato) o il 75% di creditori appartenenti alla stessa categoria (accordo esteso). L’accordo, redatto in forma scritta, deve essere sottoscritto dai creditori dell’impresa e deve garantire l’integrale e tempestivo pagamento dei creditori che non hanno partecipato alla sua stipulazione. Di tali accordi può usufruire l’imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, una attività commerciale, artigiana o agricola (imprenditore, dunque, anche non commerciale), operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica; sono esclusi dalla possibilità di stipulare un simile accordo lo Stato e gli enti pubblici, le grandi imprese soggette all’amministrazione straordinaria, le imprese assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, nonché le imprese minori; queste ultime sono quelle imprese che presentano un attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore ad euro 300.000 -nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale- in aggiunta a ricavi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000 -nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale- ed in aggiunta ad un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore ad euro 500.000. L’accordo di ristrutturazione dei debiti deve contenere l’indicazione del piano economico-finanziario contenente le modalità e le tempistiche di adempimento, la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, le strategie d’intervento per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria, nonché una serie di allegati fra cui le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ed i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. La ratio di tale previsione può giustificarsi con l’esigenza di consentire ai creditori l’espressione di un consenso quanto più informato possibile. L’accordo deve necessariamente essere accompagnato dalla relazione di un professionista abilitato che attesti la veridicità dei dati e la fattibilità del piano stesso. Il professionista deve essere un soggetto iscritto all’albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nonché nel registro dei revisori legali, in possesso dei requisiti previsti dal Codice Civile, che non sia legato all’impresa o ad altre parti interessate all’operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale. Alla prima fase privatistica segue poi quella giudiziale, in cui il Tribunale, decise le opposizioni dei creditori e di ogni altro interessato, procede all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione. Infine occorre precisare che l’accordo potrà essere già perfezionato al momento del deposito della domanda in Tribunale, ma è altresì possibile che alla domanda non vi sia allegato alcun accordo: si tratta del caso di accordo in itinere.
L’art. 57 del Codice della crisi d’impresa, D.L. n. 14 del 2019, definisce gli accordi di ristrutturazione ordinari dei debiti come accordi conclusi tra l’imprenditore, che versi in stato di crisi o di insolvenza, ed i creditori che rappresentino almeno il 60% dei creditori. Poche sono le innovazioni che l’art. 57 apporta alla sostanza dell’accordo di ristrutturazione standard, già disciplinato dall’art. 182 bis della Legge fallimentare.
Come già visto l’accordo deve contenere l’indicazione degli elementi del piano economico-finanziario che ne consentono l’esecuzione, ed un professionista dovrà attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e giuridica del piano. In particolare l’attestazione deve specificare l’idoneità dell’accordo e del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini sopra indicati.
A differenza che nell’accordo agevolato, che vedremo fra breve, è previsto l’accordo assicuri il pagamento integrale dei creditori estranei nei seguenti termini moratori:
• entro 120 giorni dall’omologazione (da parte del Tribunale), in caso di crediti già scaduti a quella data,
• entro 120 giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
Per tale tipologia di accordo sono, infine, previste misure protettive temporanee, di cui tratteremo in seguito.
La disciplina dell’accordo agevolato (semplificato rispetto a quello ordinario appena descritto) non era prevista nella legislazione precedentemente vigente, ed è stata introdotta dall’art. 60 del Decreto n. 14/2019. Si tratta di un accordo formato con un numero di creditori che rappresentano il 30% dei creditori. Le due caratteristiche che distinguono l’accordo semplificato da quello ordinario sono le seguenti:
In caso di accordo di ristrutturazione esteso viene meno uno dei principi generali del diritto privato, ossia il principio di relatività del contratto, in virtù del quale gli effetti dello stesso non possono estendersi ai terzi, salvo i casi previsti dalla legge.
L’art. 61 del Decreto n. 14 del 2019 prevede infatti una deroga al suddetto principio, statuendo che l’accordo esteso produca effetti anche verso i creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria (individuata tenuto conto dell’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici).
I creditori aderenti devono rappresentare il 75% di tutti i creditori appartenenti alla categoria, e affinché l’accordo possa trovare applicazione deve essere dato avviso dell’avvio delle trattative, a tutti i creditori, che in tal modo devono essere messi in condizione di parteciparvi, ricevendo complete e aggiornate informazioni. L’accordo, inoltre, deve avere carattere non liquidatorio, ossia deve prevedere la prosecuzione dell’attività d’impresa, in via diretta o anche indiretta. Il debitore deve aver notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo, per consentire a questi ultimi di proporre opposizione. Infine, anche in caso di accordo esteso un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati, nonchè l’idoneità del piano economico-finanziario. Una novità introdotta dalla nuova disciplina è la previsione secondo cui i creditori vanno soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale e comunque in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. In passato, tale possibilità di accordo riguardava unicamente i c.d. creditori finanziari. L’attuale art. 61 si applica, invece, a tutti i creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria e non solo alle banche e agli intermediari finanziari.
Il successivo articolo 62 del Decreto del 2019 disciplina la c.d. convenzione di moratoria. Si tratta di un’altra tipologia di accordo, che merita un breve cenno, le cui condizioni sono simili a quelle richieste per l’accordo esteso ma che difetta della fase di omologazione. Anche la convenzione di moratoria produce i propri effetti nei confronti dei creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria, in deroga al principio di relatività. Anche in questo caso un professionista indipendente deve aver attestato la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, e la ricorrenza delle condizioni. La convenzione deve, inoltre, essere comunicata ai creditori non aderenti che entro trenta giorni possono proporre opposizione. Il Codice della Crisi precisa quali possono essere i possibili contenuti della moratoria: la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative, nonché ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito. La diversità rispetto alla ben più ampia e articolata portata dell’accordo di ristrutturazione esteso è evidente: è vero che anche nell’accordo di ristrutturazione si trovano di frequente clausole che prevedono la dilazione dei diversi crediti, costituendo essa la più frequente e diffusa misura volta a stabilire uno spazio temporale idoneo per la salvaguardia della continuità aziendale, ma tali misure si inseriscono in quadro più complesso volto a consentire al debitore di soddisfare i creditori. La convenzione di moratoria non assolve invece a quest’ultimo obiettivo, in quanto non contiene misure volte alla ristrutturazione del debito: la convenzione di moratoria è unicamente diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi, attraverso una dilazione temporanea dei crediti nei confronti di uno o più creditori.
Il procedimento volto alla stipulazione di un accordo di ristrutturazione del debito è dettato dal Codice della crisi d’impresa ed è distinto in diverse fasi. Anzitutto premettiamo che è competente il Tribunale nel cui circondario l’imprenditore/debitore ha il centro degli interessi principali (COMI), ossia il luogo in cui egli gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi.
Vediamo brevemente le fasi del procedimento da seguire:
La prima fase è costituita dal deposito in Tribunale della domanda di accordo. L’imprenditore che intende chiedere l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, lo deposita infatti presso il Tribunale competente.
Va ricordato che per presentare la domanda di accordo di ristrutturazione l’imprenditore deve trovarsi in stato di crisi o in stato di insolvenza. Per crisi s’intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. Per insolvenza s’intende lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Nelle società di persone la domanda di omologazione è prima approvata dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale e nelle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, è deliberata dagli amministratori.
Il deposito della domanda può essere accompagnato da un accordo già stilato e perfezionato oppure può non esservi allegato alcun accordo. Si parla in tale secondo caso di accordo in itinere ed in questo caso il Tribunale concede un termine compreso tra 30 e 60 giorni, prorogabile di non oltre 60 giorni per giustificati motivi, entro il quale il debitore può deposita l’accordo perfezionato. Il ricorso, che contiene l’accordo perfezionato o non, deve indicare: l’ufficio giudiziario, l’oggetto, le ragioni della domanda, il piano di risanamento e gli allegati, le conclusioni, la sottoscrizione del difensore munito di procura. Unitamente al ricorso va depositata la documentazione necessaria:
Nella domanda di accordo il debitore deve inoltre presentare il già citato piano di risanamento, contenente le modalità e le tempistiche di adempimento dell’accordo o della proposta di accordo, la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, le strategie d’intervento per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria, nonché una serie di allegati fra cui le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ed i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. Giova ripetere che il piano di risanamento deve essere redatto da un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economico-giuridica dello stesso.
Una volta depositato l’accordo che viene pubblicato nel Registro delle Imprese e acquista efficacia dal giorno della pubblicazione. Avverso la domanda del debitore di omologazione di accordi di ristrutturazione, i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione entro trenta giorni dall’iscrizione degli accordi nel Registro delle Imprese, che avviene entro il giorno successivo al deposito della stessa.
Il Tribunale può emettere provvedimenti cautelari idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza di omologazione degli accordi di ristrutturazione.
La successiva fase è naturalmente quella della omologazione. Si noti bene che l’autorità giudiziaria può anche rigettare la richiesta di omologazione.
In caso di accoglimento il Tribunale decide con sentenza e avverso la sentenza con la quale il Tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione (così come avverso la decisione del Tribunale sulla opposizione alla domanda di accordo) può essere proposto reclamo presso la Corte d’Appello, entro 30 giorni. In caso di rigetto (dichiarato sempre con sentenza) il Tribunale, solo su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale.
Viene disposta l’apertura della liquidazione giudiziale anche in caso di revoca dell’omologazione, la quale può effettuarsi su domanda di uno dei soggetti legittimati presso la Corte d’appello.
Premettiamo che durante l’esecuzione degli accordi (così come durante le trattative) l’imprenditore/debitore ed i creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza. I creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore.
Il Codice della crisi d’impresa non si occupa espressamente di disciplinare la fase di esecuzione dell’accordo di ristrutturazione. Pertanto, le eventuali problematiche riguardanti l’inadempimento del/dei debitore/i, successivo alla omologazione, vengono risolte dal dettato del Codice Civile.
Distinguiamo:
Con l’accordo di ristrutturazione il patrimonio dell’imprenditore può essere assistito da alcune tutele temporanee, come il blocco delle azioni esecutive e cautelari e le misure protettive. La Legge fallimentare disponeva il blocco automatico per 60 giorni delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore dalla data di pubblicazione dell’accordo nel Registro delle Imprese. Il Codice della crisi d’impresa non prevede alcun automatismo, ma occorre l’espressa richiesta di parte. Il nuovo art. 54 prevede che le misure cautelari e protettive possano essere richieste al Tribunale nel corso del procedimento. Il Tribunale può dunque emettere, su istanza di parte, provvedimenti cautelari idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della omologazione degli accordi di ristrutturazione. Le misure protettive possono essere richieste nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, sia di quelli standard che ad efficacia estesa, ma non per gli accordi agevolati di cui all’art. 60 del Decreto.
Di particolare interesse è la possibilità, introdotta dall’art. 58 del Codice della crisi, di rinegoziazione degli accordi o modifiche del piano. A ben vedere, difatti, l’accordo di ristrutturazione, in quanto di natura privatistica, può essere modificato in qualunque momento dalle parti. Un aspetto particolare ed innovativo è tuttavia la previsione specifica di modifiche agli accordi già conclusi. L’art. 58 è volto quindi a colmare le lacune presenti nella disciplina precedente circa la corretta gestione di modifiche sostanziali che intervengono sul piano di ristrutturazione e sugli accordi stessi.
Distinguiamo brevemente due ipotesi:
Prima della omologazione è possibile modificare il piano o l’accordo di ristrutturazione dei debiti divenuti inattuabili in uno o più dei suoi elementi caratteristici. Verrà rinnovata l’attestazione di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità economica del piano da parte di un professionista indipendente ed il debitore dovrà chiedere il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parte degli accordi. In sintesi in questo caso sarà necessario rinnovare l’attestazione e le manifestazioni di consenso dei creditori pregiudicati dalle modifiche.
Sono possibili altresì le modifiche sostanziali del piano, successive all’omologazione. L’imprenditore che apporti le modifiche dovrà richiedere il rinnovo dell’attestazione da parte del professionista indipendente, in tal caso il piano modificato e l’attestazione rinnovata sono pubblicati nel Registro delle Imprese, e i creditori sono avvisati della pubblicazione ai fini della opposizione. In sintesi sarà necessaria non solo una nuova attestazione ma anche la pubblicazione del piano nel Registro delle Imprese con possibilità per i creditori di proporre opposizione.
A questo punto riserviamo un breve cenno ad una possibile alternativa agli accordi di ristrutturazione del debito: il piano attestato di risanamento.
Si tratta sempre di uno strumento negoziale stragiudiziale di regolazione della crisi di impresa che consente all’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza di proporre ai creditori un progetto idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa. Entrambi, accordi di ristrutturazione del debito e piano di risanamento, rappresentano possibili alternative stragiudiziali a cui le aziende possono fare ricorso per cercare di uscire dalla situazione di crisi, evitando l’assoggettamento ad una procedura giudiziale. La disciplina precedente, meramente accennata dalla Legge fallimentare, è stata modificata ed integrata dall’art. 56 del D.lgs. n. 14/2019, e successive modifiche. I presupposti (stato di crisi e di insolvenza) e le finalità del piano attestato sono gli stessi degli accordi di ristrutturazione.
Analizziamo brevemente le differenze:
A differenza dell’accordo di ristrutturazione il piano attestato di risanamento non è utilizzabile solo per scopi liquidatori dell’impresa. Non è, inoltre, previsto alcun obbligo della pubblicazione nel Registro delle Imprese: la pubblicazione è facoltativa come espressamente si evince dall’art. 56, comma 5, Codice della crisi d’impresa. La differenza fondamentale tra i due, tuttavia, che rende gli accordi di ristrutturazione uno strumento più sicuro per l’imprenditore, risiede nel fatto che in questi ultimi il controllo del giudice è anticipato (tramite l’omologazione) rispetto a quanto accade nell’ipotesi del piano attestato, in cui il controllo è solo eventuale e, in ogni caso, successivo alla dichiarazione di fallimento: in sede di controllo giudiziale a seguito di fallimento è possibile, difatti, una eventuale contestazione del piano di risanamento, che può risultare risultare suscettibile di revocatoria.