Lo Studio Legale Rolli & Partners vuole fornire ai lettori la possibilità di chiarire alcuni dubbi e alcune questioni che circondano l’assegno di mantenimento, disposto a seguito di separazione o di divorzio. Può capitare che il coniuge debitore non versi le quote previste, o che vi siano degli arretrati da riscuotere. E cosa capita se chi riceve il mantenimento forma una nuova famiglia? Fino a che età i figli hanno diritto al mantenimento? Questa pubblicazione della rubrica “E’ bene sapere che” si occupa di alcune problematiche connesse al mantenimento.
L’assegno di mantenimento può essere disposto a seguito di sentenza che dichiara la separazione dei coniugi, ma anche a seguito di sentenza che dichiara il divorzio, o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La previsione di un mantenimento a favore del coniuge, a seguito di separazione o di divorzio, trova il proprio espresso fondamento giuridico nel dovere di assistenza morale e materiale reciproco, posto a carico di ciascuno degli sposi dall’articolo 143 del Codice Civile. Presupposto del diritto al mantenimento è la sproporzione del reddito tra i coniugi.
D’altra parte, il mantenimento viene disposto anche in favore dei figli. Questa tipologia di assegno trova riferimento giuridico nell’obbligo di mantenere i figli, imposto ad ambedue i coniugi dall’articolo 147 c.c. Il dovere dei genitori di mantenere i figli si estende, come vedremo, oltre il compimento della maggiore età, fino al raggiungimento della loro indipendenza economica. -1-
Con la separazione personale il vincolo matrimoniale non viene sciolto, bensì sospeso in maniera transitoria in attesa della eventuale sentenza di divorzio. Difatti, la separazione personale dei coniugi costituisce il presupposto per la richiesta di divorzio. A seconda che la separazione sia stata consensuale o giudiziale l’ammontare dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole viene deciso congiuntamente dalle parti o dal giudice. La corresponsione dell’assegno di mantenimento a seguito di separazione è a carattere periodico (in genere mensile). Da notare che, anche in pendenza dei presupposti necessari per il mantenimento, esso non è dovuto nei confronti del coniuge a cui sia addebitata la separazione per colpa.
Con il divorzio i coniugi diventano ex coniugi; o, per meglio dire, cessano gli effetti civili del matrimonio. L’assegno in questo caso viene detto anche assegno divorzile e va a sostituire quello di mantenimento disposto a seguito di separazione. Con la sentenza di divorzio si estinguono, infatti, tutti i diritti che trovavano fonte nel provvedimento che disponeva e disciplinava la separazione. Anche l’assegno divorzile può essere deciso congiuntamente dalle parti o, in mancanza di accordo, dal giudice. La corresponsione dell’assegno divorzile può essere a carattere periodico oppure può essere liquidato interamente in una sola volta. Non è, invece, previsto dall’ordinamento italiano l’addebito per colpa nel divorzio. -2-
Ma fin dove si spinge l’assistenza materiale? Ad oggi la disciplina è mutata in via definitiva, quantomeno per quel che riguarda la quantificazione dell’assegno divorzile. L’assegno divorzile serve per garantire al coniuge meno benestante un’autonomia economica, e non più, come in passato il medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, ossia durante il matrimonio. Scopo dell’assegno divorzile è garantire al coniuge economicamente più debole di non trovarsi, di punto in bianco, senza la disponibilità economica per vivere. -3- Sulla scia di quanto previsto per l’assegno divorzile, la giurisprudenza più recente ha previsto che anche per la quantificazione dell’assegno di mantenimento riconosciuto in sede di separazione non rilevi più il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dai coniugi. In alcune recenti pronunce a partire dal 2018, la giurisprudenza (in particolare quella della la Suprema Corte di Cassazione, si veda ad esempio Cass., Sez. Unite, sent n. 26084/2019) ha ribadito che l’assegno di mantenimento non è più finalizzato alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, e ha adeguato anche all’ipotesi di separazione quello che era già stato sancito per l’assegno di divorzio. L’assegno dunque non dovrà più essere commisurato allo stile di vita vigente durante in corso di matrimonio ma avrà mera funziona assistenziale e compensativa del contributo dato dal coniuge meno abbiente durante il matrimonio. -4-
Anche se i termini vengono spesso usati indistintamente, c’è una profonda differenza tra alimenti, assegno di mantenimento e assegno divorzile.
Abbiamo visto che gli assegni di mantenimento e divorzile sono misure economiche che, su decisione dei coniugi o del giudice, vengono adottate all’esito di una procedura di separazione o di divorzio. Precisiamo, fra l’altro, che il beneficiario degli assegni non è obbligato a riceverlo e può anche rinunciarvi.
Gli alimenti, invece, sono una misura di sostegno che deve essere versata ai familiari più stretti in condizioni di reale stato di bisogno fisico o economico, che non sono in grado di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento. Presupposto degli alimenti è dunque che il soggetto non sia in grado di provvedere da solo alle proprie esigenze di base, che vi sia cioè una situazione di obiettiva difficoltà economica, uno stato di bisogno tale da pregiudicare la stessa sopravvivenza. La misura degli alimenti deve, poi, ricomprendere tutti i beni di stretta necessità, e quindi anche le medicine e l’alloggio. Inoltre i soggetti obbligati a versare gli alimenti sono più di uno: il coniuge di colui che si trova in stato di bisogno, i figli, anche adottivi (in loro mancanza, i discendenti prossimi), i genitori (in loro mancanza, gli ascendenti prossimi), gli adottanti, i generi e le nuore, i suoceri, e infine i fratelli e le sorelle. A questi soggetti si aggiungono eventualmente coloro che si sono impegnati contrattualmente ad assistere qualcuno a fronte di un compenso (contratto di vitalizio alimentare). Quando più persone a devono pagare gli alimenti ad un soggetto, ciascuno li verserà in proporzione alle proprie capacità economiche.
Il nostro ordinamento giuridico riconosce formalmente solo la famiglia fondata sull’unione matrimoniale e, da poco, sull’unione civile fra persone dello stesso sesso. Il crescere di unioni fondate sulla convivenza e su progetti di vita comune ha tuttavia spinto la giurisprudenza a riconoscere un certo grado di tutela anche per le cosiddette famiglie naturali. La questione principale riguardava la possibilità di applicare per analogia le stesse regole previste per la corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato anche a queste ultime famiglie. Tacendo la legge sul punto, fino ad ora si è esclusa un’eventualità simile: per l’ex convivente non è prevista la corresponsione di un assegno di mantenimento paragonabile a quello a cui ha diritto l’ex coniuge. Tuttavia, se il convivente si trova in uno stato di bisogno e non è in grado, da solo, di provvedere al proprio mantenimento e alle necessità primarie della vita l’ex partner potrebbe essere tenuto a corrispondergli un assegno alimentare. Attenzione però: la legge in materia (Legge Cirinnà) ha previsto la possibilità di un diritto al mantenimento per gli ex conviventi, quando lo stesso sia stato previsto nel contratto di convivenza. In caso di convivenza regolamentata, nelle questioni patrimoniali ed economiche, da contratto di convivenza è dunque ammissibile la previsione di un mantenimento. -5- In questo contratto i conviventi possono stabilire il pagamento di una somma di denaro, a periodi o in un’unica soluzione, a tutela del soggetto economicamente più debole. Si tratta di un mantenimento che si può equiparare a quello previsto per le coppie sposate che scatta, però, se previsto di comune accordo dai partner.
In relazione, invece, al mantenimento dei figli nati da genitori non sposati, essi sono pienamente tutelati indipendentemente da qualsiasi vincolo matrimoniale e sono pienamente equiparati ai figli nati da genitori coniugati, con conseguente riconoscimento degli stessi diritti. I genitori devono infatti provvedere alle necessità della prole in misura proporzionale alle rispettive capacità reddituali ed economiche.
L’assegno di mantenimento o divorzile non è immutabile nel tempo, ma cambia a determinate condizioni e può estinguersi del tutto nel caso del passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i coniugi. In quest’ultimo caso, occorre distinguere due ipotesi a seconda se a contrarre nuovo matrimonio sia il coniuge che gode dell’assegno di mantenimento (coniuge beneficiario o creditore) ovvero quello che lo versa (coniuge obbligato).
Le nuove nozze dell’ex coniuge beneficiario non fanno ovviamente venire meno l’obbligo del mantenimento nei confronti dei figli, tuttavia la legge prevede la perdita automatica di tutta una serie di diritti: non sarà più possibile adoperare il cognome dell’ex coniuge, si perderà la qualità di successore legittimo in caso di morte di quest’ultimo, e si decadrà in automatico dal diritto a ricevere l’assegno di mantenimento.
Le nuove nozze del coniuge obbligato a versare l’assegno di mantenimento o divorzile non fanno, invece, venire meno l’obbligo di mantenimento nei confronti dell’ex coniuge (e ovviamente neanche dei figli). Tuttavia, il coniuge obbligato potrà chiedere la revisione dell’assegno in quanto la formazione della nuova famiglia (e la eventuale nascita di altri figli) costituiscono giustificati motivi di modifica al ribasso dell’assegno, verificatisi dopo la sentenza di separazione o divorzio.
Giova evidenziare come, secondo il più recente indirizzo della giurisprudenza, anche la convivenza more uxorio del coniuge beneficiario, può far cessare il diritto all’assegno di mantenimento, purché la convivenza abbia i caratteri della stabilità, della continuità e della regolarità. D’altra parte, la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge obbligato alla corresponsione dell’assegno di mantenimento non determina l’estinzione dei suoi doveri di assistenza materiale e mantenimento. In questo caso la convivenza potrà solamente influire su una revisione e nuova determinazione del valore dell’assegno. -6-
Di natura sostanzialmente differente rispetto al mantenimento del coniuge è il mantenimento dovuto da uno dei due ex coniugi in favore dell’altro ma finalizzato al mantenimento dei figli. Il Codice Civile impone ai coniugi separati o divorziati il dovere di sostenimento della prole nell’ottica di tutelare l’interesse superiore della crescita dei figli. Il diritto al mantenimento del figlio prescinde dal compimento della maggiore età: il figlio, una volta divenuto maggiorenne, continua ad avere diritto al mantenimento fino a quando non sopraggiunga la completa indipendenza economica, grazie ad un lavoro adeguato alle sue capacità e alle sue prospettive di crescita professionale. Tuttavia il raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica non sono elementi sufficienti a sospendere il versamento dell’assegno: il dovere di mantenimento da parte del genitore può infatti mutare o estinguersi solo attraverso una procedura di carattere giuridico o tramite un accordo consensuale. Occorre cioè dimostrare che il figlio maggiorenne, grazie al conseguimento di un impiego stabile, consono alle attitudini acquisite nel corso dei sui studi o comunque inerente a quelle che sono le sue aspirazioni, non ha più diritto al mantenimento in quanto economicamente indipendente.
Come abbiamo accennato, può esserne richiesta la revisione, ossia l’aumento o la diminuzione, dell’assegno se le effettive condizioni economiche di uno dei coniugi sono cambiate. E’ altresì possibile richiedere semplicemente l’adeguamento dell’importo in base all’aumento dell’inflazione. In particolare ci si può rivolgere, con un ricorso congiunto, ossia di comune accordo, al Tribunale che ha pronunciato la separazione o il divorzio. Nel caso non si trovi un accordo tra gli ex coniugi occorrerà dare inizio ad un nuovo procedimento. Circostanze comuni, che possono indurre uno dei coniugi a richiedere una modifica dell’assegno, si possono verificare al momento della formazione di un nuovo nucleo familiare di fatto oppure quando mutano le spese inerenti alla corretta crescita dei figli e al loro mantenimento. Tuttavia, al fine di rendere modificabile la decisione intervenuta tra le parti, anche per assicurare la certezza del diritto, deve ricorrere la circostanza per la quale si siano verificati fatti nuovi, successivi alla pronuncia di separazione o divorzio.
Il Codice Civile prevede alcuni strumenti specifici per tutelare al mantenimento del coniuge che ne ha diritto. Premettiamo che il diritto al mantenimento si classifica come diritto di credito. Si tratta, nello specifico, di garanzie poste a tutela del credito per il caso in cui il coniuge tenuto al versamento delle quote di mantenimento si renda inadempiente. In particolare, su richiesta del coniuge interessato, il giudice può disporre il sequestro conservativo sui beni del coniuge debitore, con funzione di garanzia dell’adempimento degli obblighi patrimoniali. Il sequestro conservativo può essere richiesto anche a garanzia del pagamento degli assegni di mantenimento destinati ai figli. Ma c’è di più. Nel caso in cui il coniuge debitore sia a sua volta creditore, nei confronti di terze persone, di somme di denaro da corrispondere periodicamente, il giudice può ordinare a questi ultimi di versare direttamente al coniuge avente diritto al mantenimento gli importi dovuti dal coniuge debitore resosi inadempiente. Infine, l’iscrizione di ipoteca rappresenta una idonea garanzia a tutela del diritto di credito al mantenimento che può essere presentata al giudice dal coniuge debitore.
E’ importante avere bene a mente che in materia di separazione e divorzio non si prescrive mai il diritto al mantenimento, in quanto sia il diritto all’assegno di mantenimento sia il diritto all’assegno divorzile sono imprescrittibili.
Nel linguaggio giuridico, per prescrizione si intende l’estinzione di un diritto nel caso che il titolare non lo eserciti entro un determinato termine previsto dalla legge.
Gli assegni non si prescrivono, il diritto non viene mai meno. Ciò che si prescrive sono, invece, i singoli ratei, le singole quote dell’assegno. In altre parole il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento per il coniuge e per i figli non si prescrivono a decorrere dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di divorzio, bensì dalle singole scadenze delle prestazioni dovute in relazione alle quali sorge di volta in volta l’interesse del coniuge beneficiario all’adempimento. La giurisprudenza ormai consolidata ha stabilito che i ratei mensili degli assegni di mantenimento, in quanto prestazioni che debbono essere pagate periodicamente in termini inferiori all’anno, sono classificabili come prestazioni di natura periodica assimilabili alle pensioni alimentari, e come tali soggette alla prescrizione quinquennale, che decorre dalle singole scadenze. La prescrizione delle rate degli assegni di mantenimento è, quindi, di cinque anni, trascorsi i quali non sarà più possibile chiedere e ottenere i ratei caduti in prescrizione. -7-
La legge ammette, però, la possibilità di interrompere la prescrizione. E’ possibile evitare che il diritto ai ratei dei mantenimento si estingua semplicemente inviando una formale lettera scritta e sottoscritta al coniuge in cui si chiede il pagamento di tutti gli arretrati, non ancora riscossi; in questo modo il termine di prescrizione comincerà a decorrere nuovamente dall’inizio. -8-
Per ottenere gli arretrati non pagati da parte dell’ex coniuge tenuto al mantenimento, anche nei confronti dei figli, è possibile percorrere due strade:
Le suddette vie possono essere percorse anche contemporaneamente.